sabato 30 giugno 2012

Il cavatappi


Il cavatappi è comparso assieme ai tappi, (ovviamente!) intorno al 1600.
Gli aristocratici e i religiosi facevano apporre lo stemma del casato o le iniziali del loro nome su questi oggetti realizzati dai migliori artigiani ed orafi con materiali pregiati.
Il cavatappi migliore è quello che consente di stappare la bottiglia senza scuoterla, in modo da non rimuovere eventuali sedimenti.

Il tappo


Il tappo di sughero pare che fosse già utilizzato al tempo dei Romani ma solo nel 1600 fu usato per la chiusura delle prime bottiglie di vetro per lo Champagne.
I tappi di sughero vengono prodotti con la corteccia di una particolare quercia – Quercus Suber L. – che è presente sul Mediterraneo. L’albero impiega 40 anni prima di poter fornire il sughero adatto alla produzione dei tappi.
I più grandi produttori di sughero per tappi sono la Spagna e il Portogallo che ha un clima simile a quello del Mediterraneo. Anche in Sardegna c’è una buona produzione di sughero da bottiglia.
Attualmente si producono circa 20 miliardi di tappi ma l’impulso mondiale alla coltivazione della vite ha richiesto nuove soluzioni alternative al sughero.
Il tappo in silicone è una delle alternative che non piace molto al pubblico ma garantisce atossicità, non si sbriciola, non viene attaccato da muffe. Il tappo in silicone inoltre non consente al vino di “respirare” per cui è necessario imbottigliare il vino al momento “giusto” (non può essere invecchiato in bottiglia) per essere apprezzato dal palato.


Rossini e il vino in pillole...


Rossini e il vino in pillole

Il barone Rothschild inviò a Rossini qualche grappolo della sua uva migliore e il musicista scrisse un biglietto di ringraziamento che diceva: "La vostra uva è eccellente, ve ne ringrazio, ma il vino in pillole non mi piace affatto". Il barone allora gli fece recapitare delle bottiglie del suo  Château–La fite!





venerdì 29 giugno 2012

Ninna nanna



Stella, stellina,
la notte s'avvicina:
la fiamma traballa,
la mucca è nella stalla.
La mucca e il vitello,
la pecora e l'agnello,
la chioccia e i pulcini,
ognuno ha i suoi bambini;
ognuno ha la su' mamma,
e tutti fan la nanna!

giovedì 28 giugno 2012

La Luna di Staffoli


 Gli abitanti di Staffoli, tra Pisa e Lucca, erano molto dispiaciuti che la luna non splendesse tutte le notti per illuminare la loro strada e allora decisero di prepararsi una luna tutta per il loro.
La gente si dette appuntamento sulla piazza portando ognuno qualcosa. Chi portò uova, chi acqua e chi farina e impastarono una enorme focaccia rotonda che fu cotta e appesa alla quercia più grande che  c’era in paese.
Lassù non faceva tanta luce ma la gente si illudeva che fosse un simbolo speciale ed era contenta di guardarla come emblema del paese.
Ogni mattina un pastore usciva con le sue pecore di mattina presto e vedendo quella bella luna gli veniva una fame…. ma una fame…!
Il giovane pastore non seppe resistere e, dopo qualche giorno, salì sulla quercia e staccò un pezzetto di quella bella focaccia e se la mangiò per colazione.
Così ogni mattina.
La gente che vedeva che la luna piano piano diminuiva di grandezza pensò che fosse come la luna vera e calando calando arrivò la luna nuova.
Il pastore si mangiò tutta la focaccia e a Staffoli non ci fu più la luna!

In un paese …


 …un giorno passò a miglior vita un vecchio di 103 anni. Alla vigilia del funerale, dopo cena, si raccolsero alcuni amici per la tradizionale recita del rosario e per la solita riunione d'occasione.
"Poveretto, quante ne ha viste e quanto tribolare...".
"Ma come ha fatto ad arrivare a questa età", chiede una donna alla nuora.
"Cara mia, per tutta la vita ha sempre ascoltato il medico: sempre acqua, mai un goccio di vino".
A un tratto si sentì un tonfo giù per la scala di legno che portava al piano di sopra.
"Ma che succede?".
"Niente paura", disse la nuora. "È ruzzolato il fratello gemello del morto, ubriaco fradicio come al solito".

mercoledì 27 giugno 2012

Altra filastrocca....

Cavallino arrì arrò,
piglia la biada ch'io ti dò,
piglia i ferri ch'io ti metto
per andare a San Galletto.
A San Galletto c'è una via
per andare a casa mia.
A casa mia c'ho un altare
con tre angioli a cantare;
e di là c'è una vecchietta:
Santa Barbara benedetta!

martedì 26 giugno 2012

Occhio Bello


Questo è l'occhio bello,
questo è il su' fratello,
questa è la chiesina,
questi sono i fratini,

 e questo è il campanellino:
                                                               Dilindindin - dilindindin.

lunedì 25 giugno 2012

San Pietro e gli Osti


Pare che gli Apostoli fossero sempre piuttosto affamati perché raramente mettevano sotto i denti qualcosa che potesse saziarli.
Un giorno Gesù disse a Pietro di calare la rete e, con un po’ di fortuna, fu pescato un pesce bello grosso.
Pietro era felice e sognava già di mangiare quel pesce ed invece Gesù lo inviò dalla Madonna.
Pietro era insoddisfatto, aveva fatto sogni e il suo stomaco si era già preparato, ma non avrebbe mai disobbedito al suo Maestro!
Così si incamminò per andare a portare il pesce a Maria.
Durante il cammino pensò, però, di approfittare in qualche modo di questa occasione e si fermò in un’osteria.
Statua di San Pietro in Piazza San Pietro, in Vaticano, Roma
Si sedette e fece vedere all’oste il pesce che subito si offerse di comprarlo.
- Non lo vendo – disse Pietro – il mio Maestro mi ha chiesto di cambiarlo con del vino, ma di quello buono!
L’oste allora porta il vino migliore che ha e ne versa un bicchiere per Pietro.
- Non mi va il vino a digiuno…
Allora l’oste porta anche del pane, del formaggio e del salame.
Pietro mangia e beve e poi:
- No, mi dispiace ma questo vino non è abbastanza buono!
L’Apostolo ripeté il “giochino” tante volte per quante osterie incontrò e quando arrivò dalla Madonna ebbe bisogno di aiuto per infilare la porta.



domenica 24 giugno 2012

Gli ospiti sotto il tavolo


 Un anfitrione tirchio aveva fatto portare in tavola dei pesci, avanzi del giorno precedente. I pesci erano un po’ mangiucchiati, ma con maestria i servi avevano messo la pietanza in un vassoio con la parte intaccata rivolta sul fondo. Uno dei commensali si accorse della artefazione e disse:
“Facciamo presto a mangiare che sotto il vassoio c’è gente che pranza con noi! “

Mano mano piazza....


Mano mano piazza,
di qui passò una lepre pazza,.
Questo la vide,
questo l'ammazzò, 
questo la mise in pentola, 
questa la mangiò,
e al povero mignolino
non gliene resto nenache un pezzettino!




la manina l'ho presa qui:
http://www.mammafelice.it/2011/02/01/lavoretti-di-san-valentino-con-la-sagoma-delle-manine/

sabato 23 giugno 2012

L’aperitivo etrusco


Questa bevanda era a base di vino.
Molto simile alla bevanda degli eroi greci, di omerica memoria, quello che liberamente ho creduto "aperitivo" veniva fatto con vino molto forte, miele, orzo e ... (udite, udite!...) formaggio grattugiato.
A testimonianza dell'uso del formaggio nella bevanda è stata ritrovata anche una piccola grattugia negli oggetti funerari nella tomba di un importante etrusco... che sicuramente apprezzava il vino!
                                   

venerdì 22 giugno 2012

Il Vino e gli Etruschi


                          
Il vino approdò in Italia con i Fenici che portarono la Vitis Vinifera Sativa in Sicilia, successivamente gli Etruschi portarono la coltivazione della vite nell’Italia centrale e settentrionale.
La terra del vino, Enotria, fu il nome che fu attribuito alla nostra penisola per il ricco prosperare di questa coltura. Il nostro clima e le nostre terre si dimostrarono l’habitat ideale.
Con il vino gli Etruschi onoravano i morti ed  erano diffuse le pratiche religiose in onore di Fufluns , il loro dio del vino. 
Sono stati ritrovati semi di vite nelle tombe del Chianti  che dimostrano che gli Etruschi portarono questa pianta dall'oriente e l'acclimatarono in Italia.
La vite etrusca aveva la forma di un alberello che veniva appoggiato ad una pianta di olmo per crescere più forte e le vigne venivano circondate da siepi per essere protette dagli animali alla ricerca del pascolo.
Gli etruschi furono grandi produttori ed esportatori di vino. Imbarcazioni cariche di anfore vinarie attraversavano il Mediterraneo.
A Cap d'Antibes è stato ritrovato il relitto di una nave  che conteneva circa 170 anfore di Vulci. 


                                      

La parola “ Vino”….


Vinum… ha origine dal sanscrito “vena” e significa “amare” da cui, a sua volta, deriva “Venus” cioè “Venere”.
Sempre da Vinum deriverebbero gli altri nomi nelle varie lingue: wein  in tedesco; wijn in olandese, vin in svedese e danese, wine in inglese, vino in spagnolo, vinho in portoghese e vin in francese.
                                             

giovedì 21 giugno 2012

MAL D'AMORE




'N'informazione stupida e curiosa
l'ho letta stammatina sur giornale;
e dice che l'amore è proprio un male
d'origgine maligna e misteriosa.
 
Er sintomo è 'na fiacca generale,
che leva l'appetito d'ogni cosa,
e quanno che la panza è inoperosa,
viè l'urcera ar budello duodenale.
 
P'esaminà 'sta specie d'apatia
ce stà studianno un certo Professore
ma a me me sà che sbaja malatia.
 
Perchè in amore è inutile l'esame:
abbasta domannà: «Che fà l'amore»
chiunque te risponne: «Mette fame!».

                              Aldo  Fabrizi.

IL CARCIOFO


Il carciofo è un antico prodotto della natura, già mangiato al tempo degli Egizi.
Fu molto apprezzato anche dai Romani.
Notizie più certe sulla coltivazione del carciofo in Italia si hanno nel XV secolo, sia nella zona di Napoli portato da Filippo Strozzi che in Toscana dove Caterina dei Medici ne fu una grande consumatrice.
E il vino?
I Carciofi sono molti duttili e accompagnano bene qualunque tipo di carne e anche molti pesci ma....
… e il vino?
Per l’alto contenuto di ferro, i carciofi, lasciano in bocca un sapore quasi metallico ed è quindi molto difficile abbinarvi un vino, comunque i piatti che prevedono pasta o riso possono essere accompagnati da un rosato leggero, mentre i carciofi fritti e le frittate di carciofi si sposano bene con un vino bianco strutturato e morbido. I carciofi crudi accettano, ahimè, solo l'acqua.

IL BRINDISI DI SEGALARI




Castello di Segalari

Si dice che questo brindisi sia avvenuto a Segalari il 19 ottobre 1885. Il convegno avrebbe dovuto tenersi alla Torre di Donoratico, ma pare che fosse una giornata piovosa e questa modificò il programma...
 

Il primo pretto, 
Il secondo schietto,
Il terzo senz’acqua,
Il quarto non s’annacqua,
Il quinto tutto vino,
Il sesto come il primo

Di Giosuè Carducci

Torre Segalari
La leggenda dice che il Carducci accompagnasse ognuno dei sei versi bevendosi un bicchier di vino. Ma nonostante la ben nota capacità carducciana di tracannare vino, si suppone che questo brindisi sia avvenuto dopo un abbondante pasto che non avrebbe potuto lasciare spazio a questa metodica sgozzata

LIVORNO ANNI ‘50





Gigi Belloni, impiegato comunale, sempre impeccabile nel vestire, ma anche, sempre senza una lira, era amico di Lido Pini, ex pugile che non nuotava certo nell’oro. Avevano in comune la tendenza a tartagliare e la frequentazione al bar Excelsior di piazza Cavour.
UN giorno Gigi dice a Lido:
“Tieni ve…venti cente…simi e v...vammi a prendere una si..garetta io… io mi… mi vergogno”.
Lido, prende la moneta, scompare nel bar e torna con in mano un francobollo.
“Toh Gigi mi…mi  s..sono ve…vergognato anch’io, ce… c’era ge…gente. Ho… ho pre…preso  un francobollo”.
Gigi non battè ciglio, mise la mano in tasca e tirò fuori alti 20 centesimi.
“Tie… tieni, co..compra ca…carta e busta e … e scrivi al bu… bu… budello di tu mà!

Pier Leo Anzillotti

tratto dall'Almanacco Livornese 2006

mercoledì 20 giugno 2012

PREGHIERA DEL CANTINIERE


Vino nostro che sei in cantina, 

Sia ringraziato il tuo buon grado,

Venga molto vino, purchè buono e genuino:

trebbiano e sangiovese o presellino!

Dacci oggi la nostra bevuta quotidiana

E riempi a noi i nostri bicchieri

Come noi li riempiamo ai nostri bevitori,

Non c’indurre all’ubriachezza,

Ma liberaci dall’acqua

E così sia.

L’autore? Boh! Di sicuro non un astemio!

“Il Merlo di Vestro” da “Le Veglie di Neri”


 “Era passata una ventina di minuti dopo lo zampone, e l’arrosto non veniva in tavola. I commensali tutti, compreso il benemerito signor Canonico, cominciavano a impensierirsi seriamente per quel famoso cantuccio dello stomaco lasciato appositamente per il tordo”.

Renato Fucini

CIRCUITO MONTENERO e IL SORPASSO

La "Coppa Montenero" è una storica corsa automobilistica in circuito che si disputa a Livorno fino dagli anni'20 del novecento a metà estate, e divenne famosa negli anni'30 tra i Prix Internazionali rappresentando per due volte ufficialmente il "Gran Premio d'Italia".
Il circuito con partenza dalla rotonda di Ardenza traversava il centro della città di Livorno e saliva per il colle di Montenero scalando il Castellaccio, e tra la macchia scendeva sul Romito immettendosi nell'Aurelia a Castel Sonnino in un saliscendi lungocosta che passava da Calafuria e Castel Boccale, poi percorreva il rettifilo a sud di Antignano e tornava ad Ardenza dove era l'arrivo dopo aver compiuto una percorso di circa 20 Km.
Il tortuoso percorso ripetuto per vari giri era estenuante; tormentato da oltre 100 curve, in salita misto veloci e lente a tornanti, ed in discesa velocissime, in rapida sequenza, a slaloom, a raggio variabile e prive di protezioni da alberi e precipizi, taluni a picco sul mare.
I piloti si stremavano in frenetici cambi di marcia, usurando freni e gomme, impegnando a fondo le monoposto da corsa, specie le pià pesanti e poderose, che nei lunghi rettilinei ai lati di Antignano si lanciavano a velocità impressionanti tra i pali e la rete aerea dei filobus.
Il "Circuito di Montenero"duro banco di prova per uomini e macchine, ricorda la conformazione del Nurburing in Germania, ma ha il fascino di essere incorniciato dal Mar Tirreno visibile da ogni parte del tracciato di gara, che saliva fino a 300 mt. di altezza al Valico del Castellaccio, che separa il versante nord con la splendida veduta panoramica di Livorno fino a Pisa, dal versante sud si allunga la vista fino all'Isola d'Elba ein giornate speciali si intravede la Corsica.
Apprezzato dagli squadroni tedeschi delle Mercedes 16 cilindri e delle strapotenti Auto Union a motore posteriore, era teatro di epici duelli con i ruggenti e agili bolidi rossi delle Alfa Romeo e delle Maserati, nei tempi in cui la Ferrari era ancora nei sogni dell'ingegner Enzo.
Erano sfide leggendarie di corridori del passato, tra i famosi rivali ed amici italiani Nuvolari e Varzi e gli assi germanici Caracciola e Rosemeyer, che a bordo di argentei e sibilanti "mostri" da 6 litri, con oltre 500 hp. raggiungevano velocità intorno ai 300 Kmh.
Titolato "Coppa Ciano" per il livornese medaglia d'oro con D'Annunzio, attirava migliaia di presenze, sportivi assiepati lungo il percorso, equipe di varie nazioni, staff di tecnici e meccanici, cronisti, ed i più amati piloti dell'epoca che simpatizzavano con il pubblico come il grande Tazio Nuvolari, amante di Livorno e vincitore di 5 coppe, ricordato dagli appassionati in un tornante del Castellaccio detto "curva Nuvolari", primo pilota ad intraversare il bolide prima delle curve derappando su 4 ruote!
Il circuito affascinava le folle e la "Montenero" era un grande evento, tecnico e sportivo eccezionale, irripetibile ai nostri tempi, su una fantastica pista ricavata tra mare e monti e che replicata nel tempo fu per due edizioni nel 1932 e nel 1934 il "Gran Premio d'Italia".

Adesso per gli "amatori" si ripetono gare organizzate che però non hanno senso competitivo rispetto alle "Formula" alle quali adesso siamo abituati.
Alla curva Nuvolari, ogni domenica mattina si ritrovano vari "ferraristi" per un aperitivo, per uno spuntino, per un incontro fra "vecchi leoni"
Il percorso sul mare è il medesimo che nel film "Il Sorpasso" con Vittorio Gassmann scritto da Risi con Ettore Scola e Ruggero Maccari che in uno spaccato di vita italiana degli anni del boom economico, visto tramite la figura di un uomo istrionico, irresponsabile.
Bruno Cortona, il personaggio di Gassmann, viaggia per le strade di Roma con la sua potente Lancia Aurelia Sport. Casualmente, Bruno incontra Roberto ( Trintignant) , uno studente universitario. Bruno, che trascorre le sue giornate tra un espediente e una corsa in macchina, è separato dalla moglie ed ha una figlia (Catherine Spaak).


Roberto, invece, è un giovane timido ed impacciato, affascinato dalla vita libera e spensierata condotta da Bruno e accetta di trascorrere la giornata con Bruno, che si prodiga in consigli di vita vissuta. I due passano da una tappa all'altra: un tabaccaio, un ristorante e finiscono per arrivare a Castiglioncello. L'indomani si vorrebbero recare a Viareggio. Il viaggio però finisce tragicamente, Bruno si lancia per strada a tutta velocità ma la macchina sbanda in una curva proprio sul Romito e Roberto rimane ucciso.
Simbolo di una generazione di gaudenti italiani in pieno boom economico la lancia Aurelia B24. Bruno Cortona fa diventare mito una vettura.
Nel 1955 la Lancia Aurelia B24 costa 2.822.000 lire.
Della prima serie ne vengono costruiti solo 240 esemplari, di cui 59 con guida a destra.
Nel 1956 (dal numero di telaio 1182) è la volta della versione più evoluta, la Convertibile Aurelia Gt 2500 America. Più comoda ma anche meno potente.
In totale, fino al 1958 furono costruite 521 esemplari di Convertibile.
Nel 1957 avere una B24 costava 2.922.000 lire.
Ed è forse questo il modello più popolare, merito anche del film. Il successo cinematografico elegge l’Aurelia “decappottabile e supercompressa”, come la definisce nel film Bruno Cortona - Vittorio Gassman, a emblema di quegli anni segnati dal mito della fuoriserie.
Interessante il fatto che 16 anni dopo, ancora Dino Risi, per raccontare con “Primo amore” il personaggio di un attore in pensione (Ugo Tognazzi) in cerca della sua giovinezza, ricorre nuovamente alla vecchia, cara, Convertibile.

Tornando al Sorpasso, contrariamente a quanto farebbe intendere l’epilogo tragico, l’automobile finita nel burrone di Calafuria, non era la Lancia ’Aurelia vista nelle scene, ma la sua “controfigura”, una Siata 1400 Cabriolet. In realtà, complice il bianco e nero della pellicola, nemmeno la B24 era sempre la stessa: per gli esterni se ne utilizza una celeste , mentre per le riprese in studio, un’altra color verde acqua. Entrambe sono ora di proprietà di privati.

Filastrocca , La Lavanderina

 Oh bella lavanderina

che lavi i fazzoletti

per i bei scolaretti

che vedi di mattina.

Fà un salto, fanne un altro

fà la giravolta

falla un'altra volta

tirati i capelli

suona la campana dà 

una pedata al vento

e un'altra alla tua schiena

dà un colpo con l'accetta

fà una piroetta

fà la penitenza

fà la riverenza

guarda in sù

guarda in giù

dà un bacio

a chi vuoi tu…..





martedì 19 giugno 2012

"Alla Barrocciaia"

PER EVITARE DI PAGARE DUE VOLTE.... SI PAGA SUBITO, grazie
In questa trattoria, a Livorno, dove si può mangiare un panino in piedi al bancone, ci sono varie immagini e che volta volta cambiano dipendendo ciò dalla fantasia degli avventori, ma anche dei cuochi che, mi dicono, artisti anche dei pennelli. Ma un cartello anche se rinnovato nella carta è lo stesso da quando ha aperto il locale e oggi, che sono andata a prendermi un panino, prima di mangiarlo ho pensato di pagare. Il personaggio dietro il bancone, mi ha detto che potevo pagare anche dopo...
E il cartello?
Quello è per la sera, quando ci sono gli ubriachi!

http://www.labarrocciaia.it/

domenica 17 giugno 2012

REGNINO


 Alcuni anni fa una maestra, che adesso è in pensione, insegnava in una scuolina vicina al fiume Tronto che segna il territorio come divisione sia della provincia e che della regione. Al di là del fiume c'è l'Abruzzo.
Un bambino che veniva da un paesino montano oltre il fiume, e quindi abruzzese, se lo trovò in classe per la prima elementare.
Con suo rammarico non capiva niente di ciò che il bambino diceva e probabilmente il piccolo non capiva cosa dicesse lei. Passarono giorni e settimane  e la cosa non cambiò per niente... anzi! La maestra disperata cominciò ad appostarsi per cercare la madre o il padre... alla fine li mandò a chiamare.
Venne tutta la famiglia, compreso due fratellini, ma con suo grande stupore, tutti parlavano la stessa lingua del bambino.
Poi, non so come, qualcuno l'ha illuminata.
Le fu spiegato che quella era una delle poche famiglie che abitavano in un dirupato paesino di poche altre anime e che parlavano tutti il Regnino.
Il Regnino, a quanto pare, era la lingua che parlavano oltre il fiume, quando esistevano lo Stato Pontificio e il Regno Borbonico...
Incredibile, ma vero!
Chissà se c'è ancora qualcuno che parla, o che ricorda qualcosa de/il Regnino?

http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/b/b6/Norditalien_und_Mittelitalien_1799.jpg/320px-Norditalien_und_Mittelitalien_1799.jpg
estensione dello stato pontificio nel 1779
http://digilander.libero.it/freetime1836/libri/italia1805.jpg
In epoca diversa, ma qui si vede l'estensione del dominio francese, però anche la parte che i borboni avevano consolidato




sabato 16 giugno 2012

A Roma


In un ristorante alla Garbatella a Roma: 

cameriere: Allora, chevve porto?
cliente: Buonasera, c'è il menù?
cameriere: No, toò dico io.. Ciavemo bucatini all'amatriciana o pasta e facioli.
cliente.: Ehm.. no, bucatini no.. proviamo i fagioli và
cameriere (rivolto verso la cucina grida): Aò, na pasta e facioli ar ragazzo!



venerdì 15 giugno 2012

BELLINI APERITIVO


L'aperitivo "Bellini" fu inventato da un barman dell'Harry's Bar di Venezia nel 1948 a ricordo di una mostra di quadri del Giambellino, un pittore, il cui vero nome era Giovanni Bellini. Niente a che vedere, quindi, con il musicista Vincenzo Bellini.... (che io - ignorante - credevo fosse l'artefice!)
La ricetta originale era così composta: una pesca bianca con la buccia ma senza nocciolo, veniva passata in uno schiacciapatate con l'aggiunta di due lamponi.
La polpa ottenuta viene corretta con qualche goccia di limone e posta in una caraffa e completata con 1/4 di succo di pesca e 3/4 di prosecco. Veniva poi fatta riposare al fresco per un'ora e servita nella flute. 


giovedì 14 giugno 2012

I cechi a tavola - aneddoto lucchese


 

Nella piazza del mercato di Lucca, c’erano tre ciechi che chiedevano l’elemosina. A tutti quelli che davano loro un obolo questi elargivano benedizioni in abbondanza, a quelli che non lasciavano niente mandavano maledizioni.
Un superstizioso, allegro e arguto , decise di porre fine al ricatto. http://www.gifmania.it/uomi/ciechi/referee_blind_md_wht.gif
Così, una mattina, il buontempone andò dai ciechi e disse loro:
 
-          Siete sempre stati portatori di buona fortuna con le benedizioni che mi avete regalato. Questa volta voglio essere io a dare qualche cosa a voi, e dato che è l’ora di andare a mangiare,  prendete questo soldo d’oro e fate un buon pranzo. Andate nella trattoria qui appresso e dite che vi manda il Mazza.
 
Lui non consegnò nessuna moneta d’oro, ma ognuno dei ciechi credette che l’avesse ricevuto l’altro e benedicendolo andarono subito a pranzo.
Mangiarono a più non posso, approfittando di quel dono e al momento di pagare dissero all’oste:
 
-          Facci il conto e trattaci bene che ci ha mandato il Mazza!
 
L’oste presentò il conto e i tre ciechi cominciarono a discutere l’uno con l’altro perché venisse fuori la moneta d’oro:
 
-          Io non ce l’ho, ce l’hai  tu!
-          Io no, credevo che uno di noi avesse preso il soldo d’oro!!
-          Eri tu quello più vicino….
 
E così, proprio come il detto: “botte da orbi”.
Cominciarono a bastonarsi fra loro e quando esausti decisero di smetterla, cominciò l’oste che credeva ad una loro recita. La giornata finì per loro, lividi e malconci, che compresero a quel punto chi fosse il Mazza!

TOSCANA ED I DRAGHI



Dai tempi antichi a Santa Fiora si conserva il teschio di un animale che viveva nel Nilo.
Il teschio dell’ animale, ritenuto come ultimo drago del Medioevo, è conservato in una piccola teca nel Convento della Selva, a Santa Fiora, sul Monte Amiata.
Si dice che il mostro sia stato ucciso nel 1488 dal conte Guido Sforza di Santa Fiora, di un ramo degli Sforza lombardi.
L’ "animale", il cui solo cranio misura circa 40 centimetri di lunghezza, imperversava nei boschi e nei fiumi della zona fino al momento in cui Guido Sforza a cavallo lo uccise con la sua lancia.
La testa fu portata come trofeo di caccia.
Nel Convento è visibile solo la parte superiore del cranio, perché pare che l'altra metà fu donata e, poi perduta, alla Chiesa romana di Trinità dei Monti.
Sull'identità dell'animale del quale ci è rimasto questo reperto si è discusso molto.
 
Ora è stato identificato con certezza da John Thorbjarnarson, della Wildlife Conservation Society della Florida, autorità indiscussa in fatto di coccodrilli:
"Si tratta in realtà della parte superiore del cranio di un coccodrillo del Nilo. In quel periodo storico non risulta che questi animali vivessero in Italia, tranne nelle acque del Papireto e del Garraffello, presso Palermo"
Per l’ Occidente il drago è considerato un essere maligno, mentre in oriente è sempre stato considerato simbolo di forza e nobiltà.
Ma il conte Guido ha un legame con il primo e più famoso uccisore di draghi: San Giorgio.
Storicamente, San Giorgio fu un soldato romano in Palestina, il quale, avendo rifiutato di prestare sacrificio agli dei pagani, fu martirizzato sotto Decio o Diocleziano, nella seconda metà del II secolo dopo Cristo.
Poco dopo, Costantino nel 313 dichiarò la libertà di culto nell'Impero Romano, e divenne il primo imperatore cristiano.
Costantino amava farsi ritrarre in vesti militari mentre trafiggeva un serpente, raffigurante il paganesimo. Questa immagine, molto diffusa nei secoli seguenti, pare si trovasse anche sulla tomba di San Giorgio, e diede origine, verso il XII secolo, alla credenza che si trattasse invece del martire nell'atto di uccidere un drago.
Si suppone, quindi, che Guido da Santa Fiora professasse una venerazione particolare verso San Giorgio.
C’è così da notare che il racconto dell'uccisione dell’animale da parte del conte Guido è troppo simile a quella di San Giorgio per essere "originale".Un'antica leggenda dell'Amiata racconta anche che Guido fu amico di un nobile cavaliere di nome Giorgio.
Forse la leggenda gli fu dipinta addosso dopo la sua morte in onore alla sua venerazione?
E come arrivò il cranio di coccodrillo dal Nilo a Grosseto?
Si potrebbe ipotizzare che rettili portati dai Romani per gli spettacoli del Colosseo siano sopravvissuti per mille anni, ma ne sarebbero state necessarie intere famiglie.
Un animale fuggito da uno zoo itinerante?
O il cranio era un ricordino portato al conte e sul quale si inventò quello che adesso ci raccontiamo? Si potrebbero fare ulteriorivoli pindarici… Ma i draghi sono spariti.

martedì 12 giugno 2012

Il Capitano Grazie-Scusi


Il Capitano Grazie-Scusi era un ometto gentile e mansueto che allungava la mano per ricevere un po’ di elemosina.
Diceva di avere un passato come capitano di una paranza armata a vela di un tempo indefinito e racchiuso nel passato.
Era abitudine chiedergli che vento faceva.
Quando era scirocco, rispondeva “Vento al Ghibbe”, assonanza con Ghibli, quando era libeccio diceva “Vento alle Bocche” riferendosi a quelle di Bonifacio. Il maestrale era il “Vento alle Gamaie”!, né più né meno che proveniente dal Calambrone.
Nomi di fantasia, ma non tanto. Chissà perché li definiva così i venti predominanti a Livorno?

storia che mi ha raccontato Orazio Pettinelli con il quale ho collaborato, e che ho pubblicato sull'Almanacco Livornese del 2006

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